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Sa Pa – 4/6 dicembre 2015

di Alessandro

4 dicembre

Dove eravamo rimasti?! Ah si…il buontempone dell’autista del minibus mi aveva dato l’indicazione sbagliata.
Mi sono ritrovato in un mondo completamente diverso rispetto ad Hanoi. Non c’era traffico, pochi motorini, quasi nulle le auto e niente strade…esatto. Sa Pa non ha delle vere strade in asfalto. La cittadina è fatta tutta in salita e discesa con una pavimentazione marmorea in alcune zone o completamente assente in altre. Il silenzio in cui era la città mi ha per un momento spaventato; abituato al frastuono di Hanoi, Sa Pa sembra non avere rumori. Altra particolarità della città è che non si vede assolutamente nulla. Dalle montagne adiacenti una fittissima nebbia ricopriva completamente le case e una fina ma insistente pioggia continuava a scendere. Uno scenario da Silent Hill.

Poche anime in giro, ma mi affretto a chiedere al primo vietnamita che incontro la direzione dell’ostello. Mi dice di non saperla…ma c’era qualcosa di strano che non capivo. Oltre l’abbigliamento (molto colorato e assolutamente etnico) e la morfologia del viso (diverso da tutti i vietnamiti visti fino a quel momento) non mi tornava qualcosa. Mi affretto a chiedere al secondo passante e mi da la giusta indicazione. Ecco cos’era! Li capivo! Perfettamente! Ho avuto enormi difficoltà a parlare in inglese ad Hanoi, mi hanno sempre capito, ma il loro accento e la pronuncia faceva sì che gli dovessi quasi tutte le volte chiedere di ripetere.
In realtà ero già preparato. Parlando con il proprietario dell’ostello mi ha spiegato che gli hotel/ostelli/b&b nel corso degli ultimi anni si erano moltiplicati. La città di Sa Pa ed i villaggi intorno erano la cosa più “pura” che il Vietnam potesse offrire. Le moltitudini di etnie che vivevano in quella regione al confine con la Cina fino a 10 anni fa erano isolate dal resto del mondo ed avevano conservato la propria natura. Quella di una popolazione montana che faceva della coltivazione del riso e dell’allevamento del bestiame (buoi in particolare) l’unica forma di sostentamento. È stato proprio questo che nel corso degli anni ha attirato i turisti più curiosi trasformandola in una meta ambita dalla stragrande maggioranza dei viaggiatori.
Il paesaggio è davvero mozzafiato. Ne esistono davvero pochi più belli, ma la quantità di venditori ambulanti o di bancarelle sta piano piano distruggendo tutto.
Dopo essermi messo a mia agio in un ostello davvero gradevole (un po’ fuori dal centro, ma essendo davvero piccola Sa Pa significa 5 minuti a piedi per arrivarci), ho dato un occhiata a quello che la città poteva offrirmi. In realtà ben poco. Oltre la chiesa di pietra (costruita dai francesi – Sa Pa fu uno dei maggiori luoghi dove intorno al 1930 edificarono di più), e qualche via pittoresca con bancarelle di prodotti tessuti a mano (la zona utilizza la canapa per qualsiasi vestito) non c’era nient’altro. La cosa buona è che la cittadina è il punto di partenza per andare a visitare i villaggi vicini. L’ostello mi ha proposto una guida (sono sempre donne della tribù dei Hmong neri) che per 20 dollari mi avrebbe portato a vedere il villaggio di Cat Cat. Dato che la distanza era davvero breve (6 km in tutto) su quest’offerta ho rifiutato e mi sono incamminato da solo.
Diversi sali e scendi (e diversi rifiuti per chi mi cercava di vendere di tutto) mi hanno portato all’ingresso del villaggio. Uno dei più caratteristici del Vietnam (visto in qualsiasi deplian sul paese) composto dalle famose “terrazze” per coltivare il riso. L’ingresso al villaggio costava 10.000 dong e passando attraverso altre numerose bancarelle di artigiani della canapa sono arrivato al fulcro del villaggio dove convergono due cascate meravigliose. Purtroppo il clima invernale non mi ha fatto apprezzare a pieno il panorama (comunque meraviglioso) e dopo circa un ora di pioggia e nebbia che non mi faceva vedere nulla tanto valeva tornare a Sa Pa. Ho comunque potuto ammirare una delle atmosfere più remote e selvagge della terra, in cui i soldi facili del turismo stanno man mano corrompendo queste tribù locali.

5 dicembre

Svegliarmi con l’ansia di prendere di nuovo tanta pioggia non è stato piacevole.
Gli occhi si aprono, il cervello inizia a ragionare e a smettere di sognare, ti guardi intorno e quella strana sensazione che da ormai una settimana mi porto dietro appena sveglio: ma dove sono?! Casa mia?! Casa di qualcun’altro?!
Penso che dopo 30 anni suonati ho capito che l’olfatto è il mio senso principe. Adoro gli odori, i profumi…tante volte mi hanno destabilizzato, quando sento il profumo di qualche mia ex passando in mezzo la folla, altre volte mi ricordano un passato felice. E anche questo viaggio è la consapevolezza di questo.
Appena sveglio sento, odoro. Non è il profumo del detersivo che uso per lavare le lenzuola. Questa non è casa mia. Primo assioma raggiunto. Annuso l’odore della stanza, si riempie di qualcosa che provenie dalla cucina dell’ostello. Già so.
Sa Pa per la sua vicinanza al confine cinese è strapiena di turisti che provengono proprio da lì, questo fa sì che la mattina l’odore di noodles invada tutto quanto.
Mi affaccio alla finestra aspettandomi il peggio, invece, tranne per la nebbia perenne in questa zona, sembra essere una bella giornata. Alle 8 e 30 passa in ostello la guida, un ragazzo (sempre di indefinita età) che in un percorso di 30 km e che prenderà tutto il giorno mi porterà a vedere due dei villaggi più remoti della zona.
Devo ammettere che ho accusato la camminata, salite con una pendenza incredibile e passaggi all’interno delle risaie a terrazza. È vero che la giornata a livello metereologico è stata fantastica, ma è anche vero che il giorno prima ne aveva buttata di acqua e la completa assenza di strade asfaltate ha reso il percorso più “pesante”. I villaggi visti sono stati due: Ma Cha e Ta Phin (dove vive la tribù con il copricapo rosso).
L’esperienza è stata forte, molto. Queste popolazioni montane, seppur assuefatte dai soldi facili dei turisti, continuano a vivere come lo facevano 100 anni fa, le case e le giornate tipo sono rimaste identiche.
Considerando che non vi erano altre persone nel gruppo di trekking ho avuto la possibilità di farmi una bella chiacchierata con la guida. Molte domande che mi ero posto il giorno prima hanno trovato risposta. Per esempio, le tribù consapevoli della facilità con la quale ottengono soldi ora, sono stra felici della mandria di turisti che ogni giorno riempiono i loro villaggi, d’altronde Il governo non aiuta questa regione (come gran parte del paese) e le uniche sovvenzioni sono per le scuole e gli ospedali (peraltro gratuiti per chi vive lì), riconoscibili facilmente dal colore giallo con tetto rosso. Rimane ancora reale per gli abitanti sposarsi ad un massimo di 15/16 anni con matrimoni combinati dai genitori.
Dopo un lauto pranzo cucinato dentro una casa abitata dalle donne dal copricapo rosso, il viaggio di ritorno a Sa Pa è stata una lunga rincorsa all’ostello per potermi togliere le scarpe e godermi una calda doccia (ndr in realtà fino a questo momento non sono mai riuscito a farmi una doccia calda, in qualsiasi ostello sia andato, l’acqua esce al massimo tiepida/fredda).

6 dicembre

Lasciato l’ostello alle 10 (questa volta ho tirato per le lunghe considerando che il treno notturno per tornare ad Hanoi lo avevo alle 20:45) ho deciso di dare un’occhiata a Sa Pa. La cittadina dalla quale partono tutte le visite per i villaggi limitrofi, come già detto, non ha davvero molto da offrire oltre ad una chiesa in pietra, ma essendo domenica potevo approfittare di due cose: il mercato e la visita al monte Ham Rong.
Il mercato del paese è come chiunque si possa immaginare un mercato all’aperto in Vietnam. Delirio più completo. Una quarantina di bancarelle messe a ferro di cavallo riempivano la piazza (una parte era anche al coperto in una struttura piuttosto fatiscente), tutti parlavano inglese, comprese le Hmog nere, e ti offrivano di tutto: dal cibo alle bevande passando per l’immancabile oggettistica cucita a mano da loro stesse (a volte anche davanti ai tuoi occhi). I prezzi, per noi occidentali già bassi, erano da trattare.
Una cosa importante che ho imparato in una settimana di Vietnam: non abbiate timore a trattare su qualsiasi cosa. Così facendo ho pagato al massimo un terzo del prezzo che mi avevano proposto in origine.
Dopo il mercato l’altra tappa è stato il monte Ham Rong. Prezzo dell’ingresso 70.000 dong (molto superiore a tutti quelli pagati fino a quel momento), ma ne valeva la pena. La montagna è stata trasformata in un parco con una ventina di zone (curate benissimo) che andavano dall’immensa aiuola di orchidee, al giardino dei fiori quattro stagioni fino a punti panoramici mozzafiato nei quali si arrivava attraversando uno stretto sentiero roccioso.
Nel tardo pomeriggio ho preso il classico minibus per arrivare alla stazione di Lao Cai. Questa volta, memore della possibilità di trattare, ho tirato il prezzo con due/tre autisti e a mio malincuore (e anche piacere in realtà) ho pagato il biglietto 50.000 dong (un quinto di quanto lo avevo pagato all’andata…).
Il rientro ad Hanoi è avvenuto alle 5 del mattino. L’ostello era chiuso ed ho quindi gironzolato per la città dalle 5 alle 7 del mattino. Tranne per qualche abitante che iniziava a portare frutta e verdura al mercato, la città era completamente deserta. Dopo la tranquillità di Sa Pa, tornare nella caotica capitale è stato più piacevole del previsto.

PENSIERI FINALI

  1. Per i villaggi vicini non serve che buttiate soldi per prendere una guida, tanto non vi diranno niente di diverso da quello che potete trovare online o su una guida turistica qualsiasi. Per i giri più lunghi potete informarvi nell’ostello o nelle mille agenzie che troverete in città. I costi variano dai 50 dollari ai 100 a seconda del giro e del tempo che impiegherete. In realtà potete trovare in giro per la città delle guide locali che si offriranno per un giro molto meno turistico e più reale. Il costo è praticamente dimezzato. Con 30 dollari vi fanno fare un giro di due giorni e una notte facendovi dormire a casa loro e cucinando per voi. Esperienza favolosa.
  2. Se volete comprare qualcosa dalle donne che cuciono a mano per strada o nei mercati, trattate. Non si scandalizzano e scendono sempre di prezzo.
  3. Se non volete essere disturbati dalle venditrici in strada, rispondete gentilmente di no e andate oltre. Se vi chiedono da dove venite…è finita. Non ve le staccherete di dosso per i prossimi 5 km. E loro sono abituate a camminare!

Distanza percorsa: 50 km
Tempo: 3 giorni
Mezzo di trasporto: Piedi
Soldi spesi: 1.000.000 dong (compreso l’ostello e guida)

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